Diritto Europeo

Con il Trattato di Parigi del 18 Aprile 1951 nasce la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), creata allo scopo di mettere in comune le produzioni di queste due materie prime in un’Europa di sei paesi: Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi.
Successivamente i sei paesi firmatari della CECA stipulano il Trattato di Roma, il 25 Marzo 1957 (che entra in vigore il 1 Gennaio 1958), istituendo tra loro una Comunità Economica Europea (CEE).
Contemporaneamente alla nascita della CEE viene fondata anche la Comunità Europea dell’Energia Atomica (EURATOM).
Le tre comunità sono state dapprima unificate con il Trattato sull’Integrazione, firmato a Bruxelles l’8 Aprile 1965 ed entrato in vigore dal 1 Gennaio 1967; ed in seguito sono confluite, con il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, nella Comunità Europea (CE) a formare il primo pilastro dell’Unione Europea.

Con questo trattato sono introdotti i cosiddetti tre pilastri dell’Unione Europea.

la Comunità Europea che riunisce tutti i trattati precedenti (CECA- Comunità europea del carbone e dell’acciaio, Euratom- Comunità Europea dell’Energia Atomica e CEE – Comunità Economica Europea).
la Politica estera e di sicurezza comune (PESC) e la politica estera di sicurezza e difesa (PESD).
la Cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (CGAI).
Il primo pilastro è di tipo comunitario: le decisioni sono cioè prese all’interno della comunità; il secondo ed il terzo pilastro sono invece, intergovernativi: le decisioni sono pertanto prese dai rappresentanti dei governi degli stati membri.
Il primo pilastro determina, di fatto, il Diritto Europeo, che nei decenni si è sviluppato modificando il diritto nazionale degli stati membri, e determinando l’insorgere delle specifiche normative comunitarie applicabili negli stati membri.

Il diritto comunitario si distingue in:

Diritto comunitario primario (originario): Trattati istitutivi delle Comunità Europee e degli atti di modifica successivi (protocolli). Essi contengono le disposizioni fondamentali in relazione alla libera circolazione dei lavoratori, dei beni e dei servizi, delle merci, dei capitali, e il diritto di stabilimento dei cittadini comunitari negli stati membri.
Diritto comunitario secondario (derivato): La legislazione emanata nel corso degli anni dagli organi comunitari istituiti con i Trattati. Tali normative hanno caratteristiche differenti e metodi di operatività differenti. Si distinguono in:
Regolamenti: atti generali ed astratti, direttamente applicabili a tutti i soggetti negli ordinamenti di tutti gli Stati membri;
Direttive: atti che vincolano gli stati membri al raggiungimento dei risultati per i quali sono state emanati, lasciando a questi la scelta dei mezzi giuridici più idonei con i quali raggiungerli. Le direttive, in genere, non sono direttamente applicabili e obbligatorie negli stati membri. Esistono comunque dei casi in cui si ritiene che ciò avvenga: quando impongano un obbligo meramente negativo e non necessitino, quindi, di norme applicative, quando si limitino a chiarire norme già presenti nei Trattati, quando impongano obblighi chiari, precisi ed incondizionati (direttive dettagliate o self executing) ossia lascino agli stati uno spazio discrezionale minimo o nullo nella scelta delle modalità per raggiungere il risultato voluto. Si ritiene che, nel caso delle direttive dettagliate, l’efficacia diretta avvenga solo in senso verticale, ossia nei rapporti tra soggetti privati ed amministrazioni pubbliche. La giurisprudenza comunitaria esclude, al contrario, un’applicabilità orizzontale, nei rapporti tra privati;
Decisioni: atti con portata individuale, indirizzati a singoli Stati membri o a soggetti privati e obbligatori soltanto per i destinatari;
Raccomandazioni: atto non vincolante diretto a sollecitare il destinatario ad adottare un determinato comportamento;
Pareri: atto non vincolante destinato a fissare il punto di vista della istituzione che lo emette, in ordine a una specifica questione.
Atti atipici.
Decisioni della Corte di Giustizia Europea e del Tribunale di primo grado.
La Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE) è stata istituita col Trattato di Roma; la sua sede è in Lussemburgo. La Corte di giustizia ha il compito di garantire l’osservanza del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati istitutivi dell’Unione europea e nell’interpretazione e nell’applicazione della Costituzione europea, nel momento in cui e qualora essa diventi operativa.
Per condurre a buon fine il suo compito, la Corte è stata dotata di ben definite competenze giurisdizionali, che essa esercita nell’ambito del procedimento del rinvio pregiudiziale e nell’ambito di varie categorie di ricorsi.

Vi sono varie forme di procedimento innanzi alla CGCE:

Il rinvio pregiudiziale

La Corte di giustizia opera in collaborazione con tutti gli organi giurisdizionali degli Stati membri, che sono i giudici di diritto comune in materia di diritto comunitario. Per garantire un’applicazione effettiva ed omogenea della normativa comunitaria ed evitare interpretazioni divergenti, i giudici nazionali possono, e talvolta devono, rivolgersi alla Corte di giustizia per chiederle di precisare una questione di interpretazione del diritto comunitario, al fine di poter, ad esempio, verificare la conformità a tale diritto della loro normativa nazionale. La domanda pregiudiziale può anche riguardare il sindacato sulla validità di un atto di diritto comunitario.

La Corte di giustizia non risponde con un semplice parere ma attraverso una sentenza o un’ordinanza motivata. Il giudice nazionale destinatario è vincolato dall’interpretazione fornita quando definisce la controversia dinanzi ad esso pendente. La sentenza della Corte di giustizia vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposta un’identica questione.

È altresì nell’ambito dei rinvii pregiudiziali che ciascun cittadino europeo può far chiarire le norme comunitarie che lo riguardano. Infatti, sebbene detto rinvio possa essere effettuato solo da un giudice nazionale, tutte le parti già presenti dinanzi a quest’ultimo giudice, gli Stati membri e le istituzioni europee possono partecipare al procedimento promosso dinanzi alla Corte di giustizia. In tal modo, numerosi importanti principi del diritto comunitario sono stati enunciati sulla base di questioni pregiudiziali, talvolta proposte da giudici nazionali di primo grado.

Il ricorso per inadempimento

Esso consente alla Corte di giustizia di controllare il rispetto, da parte degli Stati membri, degli obblighi ad essi incombenti in forza del diritto comunitario. Il ricorso alla Corte di giustizia è preceduto da un procedimento preliminare avviato dalla Commissione che consiste nel fornire allo Stato membro l’opportunità di rispondere agli addebiti mossi nei suoi confronti. Se questo procedimento non induce lo Stato membro a porre fine all’inadempimento, può essere proposto dinanzi alla Corte di giustizia un ricorso per violazione del diritto comunitario.

Tale ricorso può essere presentato dalla Commissione — nella prassi, il caso più frequente — oppure da uno Stato membro. Se la Corte di giustizia accerta l’inadempimento, lo Stato è tenuto a porvi fine immediatamente. Qualora, dopo essere stata nuovamente adita dalla Commissione, la Corte di giustizia constati che lo Stato membro interessato non si è conformato alla sua sentenza, essa può imporgli il pagamento di una somma forfettaria e/o di una penalità.

Il ricorso di annullamento

Con detto ricorso, il ricorrente chiede l’annullamento di un atto di un’istituzione (regolamento, direttiva, decisione). Alla Corte di giustizia sono riservati i ricorsi proposti da uno Stato membro contro il Parlamento europeo e/o contro il Consiglio (fatta eccezione per gli atti di quest’ultimo in materia di aiuti di Stato, di dumping e di competenze di esecuzione) o presentati da un’istituzione comunitaria contro un’altra. Il Tribunale è competente a conoscere, in primo grado, di tutti gli altri ricorsi di questo tipo, e in particolare dei ricorsi proposti dai singoli.

Il ricorso per carenza

Tale ricorso consente di verificare la legittimità dell’inerzia delle istituzioni comunitarie. Esso, tuttavia, può essere presentato solo dopo che l’istituzione interessata è stata invitata ad agire. Una volta accertata l’illegittimità dell’omissione, spetta all’istituzione interessata porre fine alla carenza mediante misure adeguate. La competenza per il ricorso per carenza è suddivisa tra la Corte e il Tribunale secondo gli stessi criteri propri del ricorso di annullamento.

L’impugnazione

La Corte di giustizia può essere adita con impugnazioni limitate alle questioni di diritto contro le sentenze e ordinanze pronunciate dal Tribunale di primo grado. Se l’impugnazione è ricevibile e fondata, la Corte di giustizia annulla la decisione del Tribunale di primo grado. Nel caso in cui lo stato degli atti lo consente, la Corte può statuire direttamente sulla controversia. In caso contrario, essa deve rinviare la causa al Tribunale, che è vincolato dalla decisione resa in sede di impugnazione.

Il riesame

Le decisioni del Tribunale di primo grado con cui si statuisce su ricorsi proposti contro le decisioni del Tribunale della funzione pubblica dell’Unione europea possono eccezionalmente essere sottoposte a un riesame da parte della Corte di giustizia.

Il diritto comunitario che si è formato e sviluppato dall’entrata in vigore del Trattato di Roma fino ad oggi, assieme alla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, rappresentano un’amplissima fonte di diritto, applicabile negli stati membri, che il cittadino o la persona giuridica possono utilizzare per far valere i propri diritti ed interessi nell’ambito nazionale e comunitario.

Per approfondimenti:

Nuovo Regolamento Europeo in materia di dati personali

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