Indicatore Sintetico di Costo nei contratti di finanziamento

Nei contratti di finanziamento e di mutuo vi è un elemento ampiamente sottovalutato da chi, in ragione della propria formazione personale e professionale e/o della attività lavorativa esercitata, non possiede le specifiche conoscenze tecniche della materia bancaria. Infatti, accanto al tasso di interesse applicato alla operazione, alla indicazione dell’importo finanziato nonché in aggiunta al numero delle rate di rimborso del finanziamento ed alla descrizione dei beni gravati di ipoteca, compare, normalmente dopo l’indicazione del tasso di interesse corrispettivo, il c.d. Indicatore Sintetico di Costo, comunemente denominato I.S.C. [di seguito anche solo: ISC]. L’ I.S.C. è il valore percentuale che deve essere comunicato dalla Banca al mutuatario ed inserito all’interno del contratto, al fine di mostrare istantaneamente il costo complessivo della operazione di finanziamento e consentire al destinatario del finanziamento stesso di avere immediata percezione della percentuale che il complesso degli oneri che dovrà sostenere in conseguenza della sottoscrizione del contratto sviluppa rispetto all’importo finanziato.

La assoluta rilevanza dell’I.S.C. quale elemento informativo da portare alla conoscenza del mutuatario discende dalla circostanza che nei contratti di mutuo il tasso di interesse corrispettivo oggetto di accordo tra le parti non esaurisce i costi della operazione, in quanto integra solo ed esclusivamente il tasso di interesse nominale che viene applicato al finanziamento, mentre l’intera operazione comporta a carico di parte debitrice anche ulteriori oneri, quali ad esempio le imposte, le spese di istruttoria, le spese per la perizia del bene oggetto di ipoteca volontaria in favore del creditore, le spese di mediazione per la sottoscrizione del contratto, le spese per la polizze di assicurazione imposte dal creditore, intese ad assicurargli il rimborso del credito in caso di morte, invalidità, infermità o disoccupazione del debitore.

L’I.S.C. svolge la funzione di fornire la misura immediata della incidenza di tali costi rispetto al complessivo ammontare del finanziamento.

A ciò si aggiunga che il tasso corrispettivo pattuito in contratto integra un semplice tasso annuo nominale (T.A.N.), il quale indica solo una percentuale annua sul capitale mutuato, ma non tiene in considerazione, oltre agli importi corrisposti dal mutuatario per i titoli di cui sopra, il peso che per il mutuatario hanno i diversi momenti temporali nei quali vengono corrisposte le singole rate di ammortamento del finanziamento.

Appare infatti di solare evidenza che, a parità di importi, la prima rata di ammortamento comporta per il debitore oneri maggiori rispetto all’ultima, anche solo in ragione del rilevante lasso di tempo per il quale il debitore non ha più la disponibilità dell’importo della prima rata rispetto al tempo in cui non ha disponibilità dell’importo dell’ultima.

Quando al mero tasso nominale si aggiungono tutte le diverse voci di spesa sostenute dal mutuatario e quando l’effettiva incidenza del tasso di interesse corrispettivo viene valorizzata ed attualizzata in base al tempo di pagamento di ciascuna singola rata di ammortamento, il risultato cui si perviene attraverso lo sviluppo della relativa equazione costituisce il tasso realmente applicato alla operazione, il c.d. T.A.E.G. (Tasso Annuo Effettivo Globale) ovvero il costo complessivo della stessa, I.S.C. (Indicatore Sintetico di Costo).


Riferimenti normativi
L’I.S.C. è stato introdotto nel sistema normativo italiano, per la prima volta, dalla Deliberazione del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio n. 10688 in data 04.03.2003 (cfr. art. 9 comma 2), che ha demandato all’Organo di Vigilanza Banca d’Italia il compito di individuare le operazioni e i servizi a fronte dei quali detto indice, “comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente”, debba essere segnalato, nonché la formula per rilevarlo.

La normativa rilevante in argomento è costituita da:

  • Art. 116, comma 1, Testo Unico Bancario [di seguito anche solo: TUB], a norma del quale “Le banche e gli intermediari finanziari rendono noti in modo chiaro ai clienti i tassi di interesse, i prezzi e le altre condizioni economiche relative alle operazioni e ai servizi offerti, ivi compresi gli interessi di mora e le valute applicate per l’imputazione degli interessi. Per le operazioni di finanziamento, comunque denominate, è pubblicizzato il tasso effettivo globale medio previsto dall’articolo 2, commi 1 e 2, della legge 7 marzo 1996, n. 108”;
  • Art. 116, comma 1bis, T.U.B. a norma del quale “Le banche e gli intermediari finanziari rendono noti gli indicatori che assicurano la trasparenza informativa alla clientela, quali l’indicatore sintetico di costo [n.d.a.: nostra l’enfasi e la sottolineatura] e il profilo dell’utente, anche attraverso gli sportelli automatici e gli strumenti di accesso tramite internet ai servizi bancari”;
  • Art. 117, comma 4, T.U.B. a norma del quale “I contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi per i contratti di credito, i maggiori oneri in caso di mora”;
  • Art. 117, comma 6, T.U.B. a norma del quale “sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”;
  • Art. 117, comma 7, T.U.B., a norma del quale “in caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, si applicano a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell’operazione”;
  • Art. 117, comma 8, T.U.B., a norma del quale “la Banca d’Italia può prescrivere che determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato. I contratti difformi sono nulli. Resta ferma la responsabilità della banca o dell’intermediario finanziario per la violazione delle prescrizioni della Banca d’Italia”;
  • Istruzioni di vigilanza per le banche del 25.07.2003, sezione II, paragrafo 9, ove si legge che “il contratto e il documento di sintesi di cui al paragrafo 8 della presente sezione riportano un indicatore sintetico di costo (ISC), calcolato conformemente alla disciplina sul tasso annuo effettivo globale (TAEG) ai sensi dell’art. 122 del T.U. bancario e delle relative disposizioni di attuazione, quando hanno ad oggetto le seguenti categorie di operazioni indicate nell’allegato alla del. CICR 4 marzo 2003: mutui, altri finanziamenti”.

Per effetto delle nuove disposizioni di Banca d’Italia sulla trasparenza in adempimento della direttiva europea EU 2008/48/CE, a decorrere dal 01.06.2011, il calcolo del T.A.E.G. o I.S.C. comprende anche le spese connesse al conto corrente di appoggio, se obbligatorio. 

L’I.S.C. nel contratto di finanziamento
Come anticipato, l’I.S.C. coincide, come nozione tecnico-giuridica e come modalità di calcolo, con il T.A.E.G., calcolato secondo la formula infra riportata, a sua volta coincidente con quella relativa al calcolo del T.E.G., che si distingue dal T.A.E.G. solo in ragione degli elementi che vengono in rilievo per la determinazione del tasso, atteso che nel T.A.E.G., a differenza del T.E.G., vengono considerati anche gli importi che il mutuatario deve corrispondere a titolo di imposte o tasse.
La diversa rilevanza delle imposte e tasse in sede di calcolo del T.E.G. e del T.A.E.G. discende dalla circostanza che il primo tasso viene utilizzato ai fini della verifica della eventuale usurarietà dell’interesse applicato alla operazione di finanziamento e, quindi, deve essere calcolato nel rispetto della normativa primaria di cui all’art. 644 c.p., il cui comma V espressamente prevede che “per la determinazione del tasso di interessi si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse [n.d.a.: nostra l’enfasi e la sottolineatura], collegate alla erogazione del credito”.

Il T.A.E.G., invece, integrando il costo complessivo della operazione di finanziamento, deve essere calcolato considerando indistintamente tutte le voci di spesa, a prescindere sia dal titolo che le impone sia dal soggetto in favore del quale esse vengono corrisposte con onere a carico del mutuatario. La verifica ed il calcolo del T.A.E.G. o I.S.C., al pari di quanto avviene per la verifica del rispetto del tasso soglia antiusura, devono essere compiuti con specifico riferimento al momento della stipula del contratto, in conformità del disposto dell’art. 1, comma 1, d.l. 29.12.2000, n. 394, come modificato dalla legge di conversione n. 24/2001, a norma del quale “Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

Chiarita la nozione di I.S.C., la sua coincidenza con il T.A.E.G. e le differenze concettuali e di calcolo con il T.E.G., si deve procedere alla concreta verifica del valore dell’I.S.C. effettivamente risultante dal complesso degli onori applicati al rapporto. Chiaramente, nella ipotesi in cui il contratto di finanziamento sia del tutto privo della indicazione dell’I.S.C., lo stesso deve ritenersi ipso facto illegittimo (come di seguito vedremo), senza necessità di alcuna verifica né di alcun calcolo.
Pertanto si procede ad accertare il costo complessivo del rapporto di finanziamento, includendo nel calcolo del T.A.E.G. tutte le spese connesse all’erogazione del finanziamento contrattualmente previste, come le spese di perizia dell’immobile ipotecato, le spese di istruttoria della pratica e di pagamento dei premi assicurativi relativi alle polizze pretese dal creditore a tutela del futuro buon esito della operazione anche in caso di sopravvenienza di eventi nefasti a carico dell’immobile offerto in garanzia o dei mutuatari.

La metodologia di calcolo impiegata è quella indicata nelle Istruzioni della Banca d’Italia sin dalla prima pubblicazione, analoga a quella prevista dal decreto del Ministero del Tesoro del 08.07.1992 per il calcolo del T.A.E.G. 

Il T.A.E.G. è quel tasso annuo “i” che rende vera l’equazione sotto riportata:

  •       è il TAEG annuo;
  • k      è il numero d’ordine di un “prestito”;
  • k’     è il numero d’ordine di una “rata di rimborso”;
  • Ak    è l’importo del “prestito” numero k;
  • A’k’  è l’importo della “rata di rimborso” numero k;
  • m     è il numero d’ordine dell’ultimo “prestito”;
  • m’    è il numero d’ordine dell’ultima “rata di rimborso”;
  • tk     è l’intervallo espresso in anni e frazioni di anni tra la data del “prestito” n. 1 e le date degli ulteriori “prestiti” da 2 a m;
  • tk’    è l’intervallo espresso in anni e frazioni di anni tra la data del “prestito” n. 1 e le date delle “rate di rimborso” da 2 a m;


Conseguenze connesse con la mancata o erronea indicazione dell’Indicatore Sintetico di Costo
Premessa
In tema di mancata o errata indicazione dell’I.S.C., la giurisprudenza di merito degli ultimi anni si è concordemente espressa in termini di nullità della relativa clausola contrattuale, sebbene argomentando sulla base di causae petendi non sempre esattamente coincidenti.

• Violazione dell’art. 1284 c.c :
Una prima impostazione ricostruisce la violazione da parte della banca del dovere di informare il cliente del T.A.E.G. in concreto applicato nell’ambito del più complesso ed unitario piano finanziario proposto all’investitore in termini di applicazione di un tasso di interesse ultralegale in difetto di specifico accordo tra le parti sul tasso effettivamente applicato dalla banca. Ricordiamo infatti che, ai sensi dell’art. 1284, comma 3, c.c., le parti di un contratto possono prevedere l’applicazione di un tasso di interesse superiore a quello di legge, ma solo a condizione che “gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto”.

Se, come abbiamo detto, l’I.S.C. altro non indica se non il costo effettivo del rapporto di finanziamento sostenuto dal mutuatario per effetto non solo del T.A.N. indicato in contratto, ma anche di tutte le ulteriori spese e costi a qualunque titolo addebitati, l’I.S.C. stesso integra a sua volta il vero e proprio tasso di interesse concretamente applicato al rapporto di finanziamento.
Tanto ciò è vero che l’I.S.C. corrisponde al T.A.E.G., Tasso Annuo Effettivo Globale, ossia, in altre parole, al tasso di interesse complessivamente applicato alla operazione.
Ma se l’I.S.C. altro non è che il vero e reale tasso di interesse effettivo applicato alla operazione, una corretta applicazione dell’art. 1284 c.c. imporrebbe che, laddove tale I.S.C. corrisponda ad un valore superiore a quello del saggio legale di interesse, esso sia oggetto di pattuizione scritta delle parti.

Da ciò consegue ulteriormente che, nel caso in cui il contratto ometta l’indicazione dell’I.S.C. ovvero indichi un I.S.C. errato e più basso rispetto a quello risultante come effettivamente applicato al contratto, ci si trova in una situazione di palese violazione del precetto di approvare per iscritto tutti i tassi eccedenti quello legale.

La conseguenza connessa con la applicazione di un tasso di interesse eccedente la misura legale non concordata per iscritto è l’applicazione del tasso nella misura di legge.

Come visto nella trattazione relativa ai riferimenti normativi, ancor più severo si presenta, in questo senso, l’art. 117 T.U.B., a norma del quale i “contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti” (comma 1) e “nel caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo” (comma 3), con la specifica previsione che “i contratti indicano il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora” (comma 4).

In caso di inosservanza del precetto di cui al comma 4, la stessa disposizione di legge prevede che si applichino “il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministero dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento della operazione” (comma 7).

Pertanto, in presenza di un I.S.C. effettivo superiore a quello contrattualmente indicato, non potrebbe che seguire la regolazione della intera operazione di finanziamento sulla base della applicazione del tasso B.O.T. cronologicamente rilevante rispetto alla data di conclusione del contratto.

La tesi in argomento è stata confermata da recente ed attenta giurisprudenza di merito, la quale ha innanzi tutto ribadito la natura e la funzione dell’Indicatore in argomento, chiarendo che esso integra “il costo effettivo dell’operazione sostenuto dal cliente, che, anche ex contractu, tiene conto non solo del tasso di interesse applicato al finanziamento, ma anche di tutte le spese di natura bancaria che la parte finanziata è tenuta a pagare e che pertanto altro non è che il T.A.E.G.” (Tribunale Chieti, 23.04.2015, n. 230, in www.ilcaso.it).

Esaurita la premessa relativa alla natura e funzione dell’Indicatore, la sentenza addiviene all’approdo interpretativo appena delineato, osservando che “la violazione dell’obbligo della banca di informare il cliente del TAEG in concreto applicato nell’ambito del più complesso ed unitario piano finanziario proposto all’investitore, costituisce violazione di norme imperative inderogabili determinanti nullità non solo del contratto di finanziamento ma anche dei collegati contratti di acquisto di titoli mobiliari, oltre che inadempimento di obbligazioni contrattuali della banca determinanti una responsabilità a carico della stessa” (Tribunale Chieti, 23.04.2015, n. 230, in www.ilcaso.it, pag. 10).

Preso atto di quanto sopra, la stessa pronuncia ricostruisce la causa petendi della violazione nella necessità normativamente posta di concordare per iscritto la eventuale applicazione di tassi di interesse eccedenti la misura legale, laddove lo stesso giudice osserva come il relativo motivo di opposizione svolto in quella sede processuale dagli opponenti a precetto deve ritenersi fondato e basato “su una denunciata applicazione di tassi ultralegali in assenza di accordo sul tasso effettivamente applicato dall’Istituto” (Tribunale Chieti, 23.04.2015, n. 230, in www.ilcaso.it, pag. 11).

La stessa sentenza in argomento conferma anche la natura e la misura della sanzione connessa con la violazione del predetto obbligo, ribadendo che devono trovare applicazione i tassi B.O.T. come disciplinati dall’art. 117, 7° comma, T.U.B. e specificando come, in quella particolare sede processuale, “è la stessa difesa dell’istituto ad ammettere l’applicabilità di tali tassi e non dell’interresse legale nella stessa comparsa di risposta” e che, pertanto, la controversia viene decisa “ricalcolando il piano di ammortamento ai tassi BOT ex art. 117 cit (che alcuna delle parti assume sostanzialmente difforme a quello comunque fissato in contratto) [e su tale base] determina[ndo] il saldo ancora dovuto alla data della notifica del’atto di precetto” (Tribunale Chieti, 23.04.2015, n. 230, in www.ilcaso.it, pag. 11).

• Violazione art. 117 T.U.B. :

Posizione gravemente sanzionatoria a carico dell’intermediario si rinviene nella decisione assunta da altro attento giudice del merito, il quale conferma come, ai sensi dell’art. 9 della delibera C.I.C.R. in data 04.03.2003, “in caso di mutui, anticipazioni ed altri finanziamenti (l’I.S.C.) vada riportato nel documento di sintesi e che debba essere calcolato conformemente alla disciplina del TAEG” (Tribunale Napoli, sez. 2° civ., 25.05.2015, n. 7779, in www.dirittobancario.it, pag. 9).
Tale pronuncia conferma quindi due elementi fondamentali ai fini che ci occupano, ossia che l’indicatore sintetico di costo (i) deve essere specificamente indicato nel contratto, dovendosi ritenere implicitamente affermato l’ovvio corollario per cui esso deve essere indicato in maniera corretta e (ii) deve essere calcolato applicando gli stessi criteri e le stesse nozioni matematiche che sovraintendono al computo del T.A.E.G., trattandosi con ogni evidenza di due dati percentuali assolutamente ed integralmente sovrapponibili.

La stessa pronuncia, tuttavia, nel giungere al medesimo risultato sanzionatorio a carico dell’intermediario, fonda tale esito su un diverso costrutto logico – giuridico.

Infatti, il Tribunale di Napoli conferma innanzi tutto la sanzione di legge della nullità della clausola connessa con la omessa o errata indicazione dell’I.S.C., ma ne costruisce il fondamento sulla diversa normativa dettata dall’art. 117, comma 8, T.U.B.

Ribadisce, infatti, la sentenza de qua come “l’evidenziata carenza determina la nullità del contratto, perché l’art. 117 comma 8 TUB, nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, stabilisce espressamente che <La Banca d’Italia d’intesa con la CONSOB può prescrivere che determinati contratti o titoli, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un determinato contenuto tipico. I contratti e i titoli difformi sono nulli>” (Tribunale Napoli, sez. 2° civ., 25.05.2015, n. 7779, in www.dirittobancario.it, pagg. 9-10).

In maniera assolutamente logica e coerente, il giudice del merito trae le conseguenze ineludibilmente derivanti dai pregressi assunti, osservando come “poiché le istruzioni di vigilanza, adottate dalla Banca d’Italia sulla base del potere ad essa conferito dal medesimo articolo 117, impongono che i contratti di mutuo riportino il valore dell’ISC, la carenza di tale indicazione determina la nullità del contratto, anche se, come nella specie, siano esposti gli elementi che concorrono alla determinazione di tale parametro” (Tribunale Napoli, sez. 2° civ., 25.05.2015, n. 7779, in www.dirittobancario.it, pag. 10).

In questo senso la pronuncia in commento assume un rilievo fondamentale, in quanto chiarisce oltre ogni ragionevole dubbio la assoluta rilevanza della corretta indicazione dell’I.S.C., confermandone l’essenzialità, anche laddove siano comunque indicati i parametri che concorrono a determinarlo, la cui sola presenza, senza l’indicazione del valore dell’I.S.C., non è sufficiente a sottrarre la clausola alla sanzione della nullità.

Altra rilevante conferma che si trae dalla sentenza in commento riguarda le modalità di calcolo dell’I.S.C., coincidenti con quelle del T.A.E.G., avendo il Tribunale di Napoli chiarito che “il calcolo dell’ISC non consiste in una semplice somma algebrica di fattori riportati nel contratto, ma impone di fare riferimento alla formula per la determinazione del TAEG e, quindi, ad un elemento che non è in alcun modo desumbile dal contratto”, con la conseguenza che l’omessa o errata previsione dell’indicatore “priva in concreto il cliente della possibilità di conoscere tale parametro, in chiara violazione delle finalità di trasparenza perseguite dalle richiamate istruzioni della Banca d’Italia” (Tribunale Napoli, sez. 2° civ., 25.05.2015, n. 7779, in www.dirittobancario.it, pag. 10).

La omessa o errata indicazione dell’I.S.C. comportano la necessaria sostituzione del tasso di interesse pattuito in contratto attraverso il meccanismo sostitutivo previsto dal medesimo art. 117 T.U.B., il cui comma 7° espressamente prevede l’applicazione del c.d. tasso BOT, individuato secondo modalità e criteri fissati dalla norma in argomento.

Tale soluzione, come visto nella trattazione che precede, era già stata individuata dal Tribunale di Chieti quale via maestra per ricondurre il contratto di mutuo entro i binari della conformità alle disposizioni di legge in tema di rapporti bancari, anche in ossequio al principio, rinveniente dall’art. 117, comma 8, T.U.B., secondo cui deve in ogni caso rimanere ferma la responsabilità dell’intermediario che si sia discostato dalle prescrizioni della Banca di Italia.

Peraltro, laddove si dovesse ritenere il meccanismo sostitutivo di cui all’art. 117, comma 7, T.U.B. riservato alle sole ipotesi rilevanti ex art. 117, commi 4 e 6, T.U.B., sarebbe in ogni caso operativo il meccanismo sostitutivo di cui all’art. 1284 c.c., a norma del quale le obbligazioni pecuniarie sono assistite dal saggio di interesse legale, salvo diversa pattuizione scritta delle parti, in difetto della quale il tasso convenzionale deve ritenersi non concordato e previsto in conformità dei vincoli formali imposti dalla norma, il cui terzo comma testualmente recita che “gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale”.

Ritiene lo scrivente che, posto che la sanzione derivante dalla omessa o errata indicazione dell’I.S.C. all’interno del contratto di mutuo è comminata sulla base di una normativa speciale, quale quella dettata in subjecta materia dal T.U.B., appare certamente più conforme alla ratio della disciplina “unica” l’applicazione del meccanismo sostitutivo e sanzionatorio dettato da tale normativa.

La normativa in argomento, infatti, costituisce esplicito presidio a tutela di una determinata tipologia di contraente debole chiamato a trattare con una ben individuata tipologia di contraente forte per la sottoscrizione di (rectius: adesione ad) uno schema contrattuale assolutamente non negoziabile, né presso l’intermediario né presso altri soggetti appartenenti allo stesso settore merceologico, notoriamente caratterizzato da una spiccata tendenza al “cartello” o, comunque, alla presentazione di offerte commerciali sostanzialmente omogenee.

A ciò si aggiunga che, posto che l’I.S.C. corrisponde, come valore e come nozione, al T.A.E.G., il mutuatario non è in possesso delle conoscenze e degli strumenti per procedere al relativo calcolo, per cui l’unico strumento attraverso il quale può essere messo in grado di conoscere il costo complessivo del finanziamento è proprio la relativa indicazione da parte della banca, soggetto da un lato qualificato alla esecuzione del relativo calcolo e dall’altro unilaterale redattore delle condizioni, anche economiche, di contratto.

Tale impostazione si lascia preferire, a sommesso parere dello scrivente, rispetto alla applicazione del diverso meccanismo sostitutivo consistente nella applicazione del tasso di interesse legale, proprio in ragione della specialità della materia, prima, e della disciplina, poi, laddove quanto previsto dall’art. 1284, comma 3, c.c. rileva con maggiore efficacia quando il rapporto di finanziamento sia in essere tra soggetti posti sul medesimo piano di forza contrattuale e sia stato, conseguentemente, liberamente negoziato dagli stessi, nessuno dei quali appartenente alla categoria dell’operatore finanziario professionale.

Nel momento in cui il legislatore ha ritenuto che la materia dei contratti bancari dovesse essere oggetto di una normativa non solo speciale, ma anche unitaria, va da sé che la tutela del risparmiatore maggiormente efficace non potrà che essere perseguita attraverso i rimedi e gli strumenti sanzionatori regolati con specifico riferimento ai contratti di diritto bancario.

Ulteriori profili di illegittimità della erronea indicazione dell’ISC

Ulteriore rilevante pronuncia in tal senso è rappresentata da un decreto del Tribunale di Cagliari, il quale, nel conoscere della sorte di un contratto di mutuo opposto alla curatela del mutuatario fallito, ribadisce come un contratto di mutuo contenente una errata indicazione dell’I.S.C. “è difforme dalla previsione in commento (id est: art. 117, comma 8, T.U.B.), che, invece, prescrive la specifica indicazione numerica dell’indicatore al fine di consentire alla parte contraente, per quanto si dirà più avanti, di avere contezza del costo complessivo dell’operazione”, senza neppure che il mutuante possa in qualche modo trincerarsi dietro l’eccezione che “l’indicatore, al momento della stipulazione del contratto di mutuo, non possa essere determinato sino alla effettiva erogazione della somma”, in quanto il contratto, al momento della effettiva conclusione, presenta tutti gli elementi necessari per la rilevazione dell’indicatore, atteso che “l’ISC poteva e doveva essere determinato, comprendendovi tutti i costi elencati dalle lett. da a ad f in relazione all’importo pattuito” (Tribunale Cagliari, ordinanza cron. n. 5295/16 del 29.03.2016 – R.G.N. 4095/2013, in www.ilcaso.it, pag. 6).

Quanto alla sanzione connessa con l’omessa o errata indicazione dell’I.S.C., il Tribunale di Cagliari, avendo in precedenza affrontato e risolto le questioni connesse con la mancanza del documento di sintesi, chiarisce innanzi tutto che, siccome deve essere riportato non solo nel documento di sintesi ma anche all’interno del contratto, l’I.S.C. “è contenuto nel contratto e, dovendo essere anche riportato nel documento di sintesi, costituisce condizione principale del contratto”, specificando che, mentre il documento di sintesi ha una funzione meramente riepilogativa e descrittiva di elementi contenuti all’interno del contratto, “l’ISC al contrario è il frutto di una elaborazione matematica dell’istituto finanziatore che offre al cliente un elemento informativo fondamentale, ovvero il costo complessivo dell’operazione” (Tribunale Cagliari, ordinanza cron. n. 5295/16 del 29.03.2016 – R.G.N. 4095/2013, in www.ilcaso.it, pag. 14).

Da ciò il Tribunale lascia discendere alcune rilevanti considerazioni ai fini della individuazione della sanzione civilistica connessa con la mancata o errata indicazione dell’I.S.C. :
l’I.S.C., intanto, non costituisce un ausilio alla lettura in senso formale del contratto, “ma fornisce uno strumento di lettura in senso sostanziale, ovvero consente al cliente di comprendere e valutare l’operazione economica sotto il profilo più squisitamente concreto del costo della stessa mediante una sintesi numerica di immediata e facile percezione” (Tribunale Cagliari, ordinanza cron. n. 5295/16 del 29.03.2016 – R.G.N. 4095/2013, in www.ilcaso.it, pag. 14);

la rilevanza dell’I.S.C. ai fini della validità del contratto deriva dalla circostanza che esso non può essere autonomamente elaborato dal cliente, in quanto “presuppone la conoscenza del TAEG, aliunde contenuta, bensì dal solo istituto finanziatore, unico soggetto professionalmente in grado di effettuarlo” (Tribunale Cagliari, ordinanza cron. n. 5295/16 del 29.03.2016 – R.G.N. 4095/2013, in www.ilcaso.it, pag. 14);

la mancata o errata indicazione dell’I.S.C. assume rilevanza estrema nell’economia della valutazione sul contratto, in quanto “impedisce al cliente di avere conoscenza del costo del finanziamento e di poter così effettuare una valutazione complessiva e comparativa della proposta contrattuale” (Tribunale Cagliari, ordinanza cron. n. 5295/16 del 29.03.2016 – R.G.N. 4095/2013, in www.ilcaso.it, pag. 14).

Sulla base di tali presupposti, integrati da considerazioni in tema di collocazione sistematica dell’I.S.C. nelle Istruzioni della Banca d’Italia, ossia in tema di suo inserimento non “tra gli strumenti di pubblicità nella premessa portata dal paragrafo 1 della sezione III”, bensì “nell’ultimo paragrafo della sezione II che prelude alla sezione III, contenente appunto la disciplina del contenuto minimo e della forma del contratto” (Tribunale Cagliari, ordinanza cron. n. 5295/16 del 29.03.2016 – R.G.N. 4095/2013, in www.ilcaso.it, pag. 14), il Tribunale giunge alla individuazione della nullità della clausola quale sanzione derivante dalla omessa o errata indicazione dell’I.S.C.

Posto che, in forza del disposto di cui all’art. 117, comma 8°, T.U.B., la Banca d’Italia ha prescritto l’inserimento dell’I.S.C. in tutti i contratti di mutuo ed altri finanziamenti, l’indicatore ne è divenuto “contenuto tipico determinato”, con conseguente nullità del contratto che ne sia carente (o lo indichi in modo errato), in quanto, ai sensi della medesima norma specialistica, “i contratti e i titoli difformi sono nulli” (Tribunale Cagliari, ordinanza cron. n. 5295/16 del 29.03.2016 – R.G.N. 4095/2013, in www.ilcaso.it, pag. 15).

Lo stesso Tribunale, peraltro, individua un ulteriore profilo di nullità ai sensi dell’art. 1418, comma 1°, c.c. per contrasto con norma imperativa, argomentando che l’inserimento dell’indicatore all’interno del contratto non risponde solo ad esigenze di tutela del privato, “ma è posto a presidio di interessi pubblici di primaria importanza e non solo del cliente”, atteso che la trasparenza delle condizioni economiche proposte da ciascun istituto di credito non solo consente al cliente “di cogliere il senso complessivo dell’operazione, ma altresì di comparare le proposte contrattuali presenti sul mercato così da orientarlo nella scelta della proposta più conveniente e di garantire la più ampia concorrenza tra gli operatori” (Tribunale Cagliari, ordinanza cron. n. 5295/16 del 29.03.2016 – R.G.N. 4095/2013, in www.ilcaso.it, pag. 15).

Da ciò consegue che la clausola che non indichi l’I.S.C., ovvero indichi un I.S.C. errato, è da considerarsi nulla per contrasto con norma imperativa, poiché, considerato che “esso si impone alla volontà delle parti in quanto posto a presidio di interessi superiori”, la violazione della norma “non può incidere solamente nell’ambito della responsabilità per inadempimento – che tutela l’interesse privato della parte – dovendo gravitare nell’ambito di invalidità per contrasto con una norma imperativa posta a tutela di interessi indisponibili” (Tribunale Cagliari, ordinanza cron. n. 5295/16 del 29.03.2016 – R.G.N. 4095/2013, in www.ilcaso.it, pag. 15).

Rigettata tale istanza, con ammissione del credito con il diverso e ridotto rango chirografario, la banca mutuante aveva svolto l’opposizione per ottenere l’ammissione privilegiata, senza che, in seguito al rigetto della opposizione, il Tribunale abbia ritenuto opportuno né necessario individuare il meccanismo sanzionatorio, in quanto, giusto il disposto dell’art. 112 c.p.c., l’intervento giudiziario era necessariamente limitato dall’oggetto delle rispettive domande, ossia l’ammissione in privilegio per quanto riguardava la banca opponente ed il rigetto della opposizione per quanto riguardava la curatela opposta.

Chiaramente, anche in questa sede valgono in pieno le argomentazioni e deduzioni spese supra in punto di rapporto tra normativa generale e normativa speciale in relazione al particolare interesse e bene della vita che il legislatore ha inteso tutelare e proteggere con l’adozione del T.U.B., ossia una normativa che si giustifica solo laddove la si ritenga maggiormente funzionale ed efficace rispetto alla tutela dei beni che il legislatore ha voluto proteggere e salvaguardare.

In difetto, sarebbe stata assolutamente sufficiente la normativa generale dettata dal codice civile, mentre la previsione di una normativa speciale indica che il perseguimento degli interessi di protezione del risparmiatore è maggiormente garantito dal presidio della disciplina speciale.

Pertanto, alla errata indicazione dell’I.S.C., deve conseguire, anche in questo caso, l’applicazione del meccanismo sostitutivo previsto e disciplinato dall’art. 117, comma 7, T.U.B. e, solo in via assolutamente subordinata, l’applicazione del tasso di interesse legale.

Ultimo intervento in argomento

Di recente, la particolare fattispecie del contratto di mutuo contenente l’indicazione di un I.S.C. errato è stata affrontata, seppur al momento solo in via cautelare, anche dal Tribunale di Tivoli, il quale, con ordinanza riservata, ha sospeso l’esecutorietà di un contratto di mutuo fondiario, in accoglimento della censura svolta dai mutuatari opponenti, i quali avevano dedotto la nullità della clausola, nella quale era stato indicato un I.S.C. pari al 4,73%, laddove, all’esito di una perizia di parte opponente, lo stesso I.S.C. era stato calcolato nel più elevato valore del 4,81%.

Il Tribunale di Tivoli, richiamando pronunce ed argomentazioni sia dell’Arbitro Bancario Finanziario sia della giurisprudenza di merito, ha dato corso alla applicazione dell’art. 117, comma 6°, T.U.B., secondo cui “sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”, demandando ad un consulente dell’ufficio il ricalcolo del dovuto per sorte ed interessi, computati in applicazione del tasso sostitutivo previsto dall’art. 117, comma 7, T.U.B. (cfr. Tribunale Tivoli, ordinanza 19.07.2016, inedita).

Sulla trasparenza:

L’errata indicazione dell’I.S.C. all’interno del contratto integra, peraltro, non solo la violazione degli artt. 1284 c.c. e 117 T.U.B. in materia di forma scritta delle clausole relative agli interessi e costi relativi all’operazione, ma anche la violazione della normativa in tema di trasparenza delle operazioni bancarie.

Come anticipato nell’incipit della presente trattazione, infatti, l’intermediario ha l’obbligo, ai sensi dell’art. 116, comma 1, T.U.B., di rendere “noti in modo chiaro ai clienti i tassi di interesse, i prezzi e le altre condizioni economiche relative alle operazioni e ai servizi offerti”, mentre è altresì d’obbligo pubblicizzare, con specifico riferimento alle operazioni di finanziamento “comunque denominate, il tasso effettivo globale medio previsto dall’articolo 2, commi 1 e 2, della legge 7 marzo 1996, n. 108”.

Il successivo comma 1bis della medesima disposizione del T.U.B. obbliga altresì l’intermediario a portare ad adeguata conoscenza del cliente “gli indicatori che assicurano la trasparenza informativa alla clientela, quali l’indicatore sintetico di costo [n.d.a.: nostra l’enfasi e la sottolineatura] e il profilo dell’utente”.

Alla stregua di tali obblighi, appare evidente che, laddove l’indicatore sintetico di costo connesso ad una operazione di finanziamento venga riportato dalla banca all’interno del contratto tramite l’indicazione di un dato non corrispondente all’effettivo valore numerico del costo stesso, viene meno la trasparenza che deve caratterizzare il contratto bancario e l’attività del contraente forte in funzione della tutela dei diritti del contraente più debole.

È infatti chiaro che l’indicazione errata del costo complessivo della operazione, anche a prescindere dalle problematiche di forma esaminate nel complesso della trattazione che precede, inficia la complessiva trasparenza della operazione, in quanto fornisce al cliente, sprovvisto dei mezzi e degli strumenti tecnici necessari per una compiuta verifica, un dato di valutazione della convenienza della operazione errato e, come tale, non idoneo a consentire la analisi della effettiva predetta convenienza della operazione stessa.

In conclusione

Alla luce della trattazione che precede, appare chiaro ed acquisito che:

  • l’I.S.C. costituisce un elemento essenziale del contratto di finanziamento, in quanto indica, in termini percentuali sull’importo mutuato, il costo complessivo del finanziamento a carico della parte debitrice;
  • l’I.S.C. deve essere espressamente e chiaramente indicato all’interno del contratto, non essendo in alcun modo sufficiente che il suo valore possa in qualche misura essere ricavato aliunde;
  • l’I.S.C. svolge la sua peculiare funzione in via esclusiva, nel senso che non sussistono all’interno del contratto altri parametri che consentano al mutuatario di aver immediata e pronta contezza del costo finanziario della operazione;
  • l’I.S.C. viene calcolato sulla base della medesima funzione matematico-algebrica che presiede alla determinazione del T.A.E.G., con cui l’I.S.C. coincide sia in termini teorici che numerici;
  • da ciò discende la necessità della sua indicazione all’interno del contratto, in quanto il mutuatario non è di regola in possesso delle conoscenze tecniche e degli strumenti attraverso i quali determinare e calcolare l’esatto valore dell’I.S.C. (e del T.A.E.G.);
  • contestualmente, la banca è soggetto professionalmente qualificato per la esecuzione del calcolo, oltre che soggetto che unilateralmente e senza trattativa ha provveduto alla predisposizione delle condizioni generali di contratto, cui il cliente può solo decidere se aderire o meno, consapevole che altri intermediari dello stesso settore merceologico tenderanno a proporre condizioni sostanzialmente omogenee e coincidenti;
  • alla omessa o errata indicazione dell’I.S.C. consegue la nullità della pattuizione in tema di interessi corrispettivi, suscettibile di sostituzione attraverso l’applicazione del tasso BOT ex art. 117, comma 7, T.U.B. ovvero a mezzo applicazione del tasso di interesse legale ex art. 1284, terzo comma, c.c., con evidente preferibilità della prima alternativa per ragioni logico – sistematiche e di rispetto della ratio legis sottesa alla approvazione della normativa speciale in materia bancaria.

Una volta accertata la nullità del contratto per errata indicazione dell’I.S.C., si deve procedere al ricalcolo della rata applicando il tasso B.O.T. (ovvero il tasso legale) e verificare, alla luce delle rate corrisposte dal mutuatario in forza del tasso convenzionale pattuito in contratto, la differenza tra i due importi.

Posto che la differenza tra le due rate (quella corrisposta dal mutuatario sulla base del tasso convenzionale e quella rideterminata applicando i tassi sanzionatori) è a vantaggio del mutuatario stesso, la relativa differenza dovrà essere moltiplicata per il numero delle rate effettivamente corrisposte e l’importo costituirà oggetto di obbligo restitutorio della banca nei confronti del cliente.

La banca, oltre a dover restituire al cliente l’importo come sopra determinato [(rata al tasso convenzionale – rata al tasso sanzionatorio) x numero delle rate] dovrà anche rideterminare, sempre applicando il tasso sanzionatorio, le rate dovute dal mutuatario per il futuro, sino alla estinzione del rapporto di finanziamento.

 

 a cura di  Avv. Lorenzo Romanelli